sabato 9 novembre 2013

Una mamma e lavoratrice bolognese

Ripubblichiamo il post di una mamma lavoratrice di Bologna, esempio di come molte donne vivono la propria condizione di genitore e di lavoratrice precaria.


http://precariamamma.blogspot.it/2013/10/tic-tac-tic-tac.html

Tic tac tic tac 

Tempo.
Tutti abbiamo bisogno di più tempo. E quando lo troviamo, non sappiamo riconoscerlo.
È cambiato dall'ultima volta che l'abbiamo avuto a nostra completa disposizione.
Allora eravamo giovani, ne avevamo tanto, troppo, non solo di presente ma anche di futuro. Non sapevamo che farcene, e allora lo sprecavamo anche un po'. Lo riempivamo di sogni, che poi spingevamo un po' più in là per riservarci di cancellarli in un secondo momento. I sogni si depositavano sull'orizzonte, come nuvole esauste dopo un temporale, e lì restavano, a far da cuscinetto per le attese.
Attese. Anche le attese, come il tempo, vent'anni fa avevano tutto un altro aspetto.

In questi giorni un bel po' di tempo mi avanza, e mi concedo il gusto di perderlo come ne avessi ancora tanto.
Lo riempio di piccole cose morbide.
Quindi, se siamo costretti a casa dal primo virus della stagione, faccio un passaggio in biblioteca e prendo in prestito un paio di libri e dei dvd. Giorni di coccole, mentre il virus migra da un figlio all'altro. È bello starsene tutti sul divano a guardare un cartone, nelle nostre amate "serate cinema". È bello preparare il ragù con Anna che trita il sedano e le carote con un coltello da grande, e non sta zitta un attimo per ricordarmi quanto devo esserle grata del suo aiuto. È bello preparare la pizza insieme, con le maniche tirate su e la farina fin dentro le orecchie. È bello farsi spiegare i minigiochi di Mario Bros e poi giocare a turno con Diego. È bello il gioco dell'oca, è bello colorare nei minimi particolari il negozio da pasticciera di Barbie. È bello poter dire: "Adesso, Diego, sai che facciamo? Non leggiamo, non guardiamo la tv, non giochiamo al nintendo. Adesso ti sdrai e ti faccio i massaggini".

Che quadretto felice, vero?
Ora spostate appena un po' lo sguardo. Osservate bene i miei occhi. Vedete che ogni tanto corrono al cellulare? Spero di aver dimenticato di attivare la suoneria, perché allora forse non è il telefono a tacere: sono io che non lo sento.
Notate con quanta frequenza vado a controllare le  e-mail, tamburellando con le dita sulla scrivania?
Notate l'espressione di panico mentre apro buste che contengono bollette, bollettini, avvisi di pagamento?

Capite quindi, a cosa assomiglia il tempo, alla vigilia dei quarant'anni in una vita da precaria?
Assomiglia a un terreno carsico, in cui buche improvvise risucchiano il tuo buon umore. Non è più uno spazio sconfinato e indistinto, perché è crudelmente punteggiato da rate mensili.
Ecco perché è fondamentale riempirlo di cose morbide.
Sono le pareti imbottite per evitare di ammazzarsi dando capocciate al muro.


Ho bisogno di lavorare. Veramente. Perché mi sono messa anche a guardare le serie tv, e questo è il segno inequivocabile che l'armageddon incombe su di me.

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